La vittoria dopo Firenze

Non so esattamente cosa sia successo quella mattina, quando mi svegliai e decisi di dovermi allontanare da casa. So solo che accesi il computer, cercai vari alloggi, feci qualche chiamata e prenotai. Lo dissi ai miei genitori, preparai le valigie e nel giro di due settimane mi ritrovai a Firenze. Da sola. Da troppo tempo ormai convivevo costantemente con una vocina dentro che urlava e che mi spingeva ad aprire le ali e fuggire. Una vocina fastidiosa che avevo sempre seppellito dentro di me.

Finii in un Istituto di Suore con altre ragazze della mia età, universitarie e lavoratrici con cui instaurai vere e proprie amicizie. Mi divertii come non mai… Fu decisamente la scelta migliore che potessi fare. Alloggiai alla Casa per Ferie Borgo Pinti (https://www.oblate.it/), in pieno centro, a pochi passi da Piazza del Duomo. La pace che si respirava, l’accoglienza e l’amore verso il prossimo, la serenità interiore che provai nel giro di poche ore, fecero di quel posto la mia seconda casa.

Partii con l’idea di restare un mese soltanto, pensando di aver bisogno di un periodo sabbatico per prendermi cura di me stessa, lontana da casa e dalla solita vita di tutti i giorni. Decisi di viverla così, un po’ come turista, un po’ come una ragazza che vuole cambiare vita.

Credo che difficilmente mi vedrete intimidita nell’intraprendere conversazioni con sconosciuti, e ahimè può essere un pregio come anche un difetto. Sta di fatto che non ci misi tanto a conoscere nuove persone e a trovare subito un lavoro che mi permise di restare lì. Intanto il tempo passava e il mese si trasformò in anno.

Quando decisi di partire era sicuramente troppo presto. La mia psicologa mi disse che sembrava la classica fuga, che non ero pronta ad affrontare tutto quel cambiamento da sola. Di certo con me portai tante, troppe paure. E’ vero, non ero ancora pronta, ma ad oggi posso dirvi che quell’esperienza mi aiutò a crescere. Per i primi mesi vi confesso che la notte faticavo a dormire, spesso e volentieri mi svegliavo in piena notte sopraffatta dagli incubi. Mi ricordo le telefonate con la psicologa (che aveva deciso di continuare a seguirmi nonostante la distanza), mi ricordo le sue parole. Ricordo quando manifestava la sua preoccupazione riguardo la mia salute, di quando diceva di voler chiamare la mia famiglia perchè convinta di dover tornare a casa…

Il fatto era che io mi convincevo di stare bene ma ahimè ad oggi posso solo dare ragione a lei: io non stavo bene, cercavo semplicemente di convincermene. E lei sapeva bene che gli incubi continui erano un segno e che non potevo continuare così. Dovevo ancora essere seguita ma da vicino, diceva che non sarei durata molto, perchè le cose erano due: o davvero stavo guarendo o avrei semplicemente faccio peggio. Beh, aveva ragione…

Sicuramente sì, se tornassi indietro lo rifarei altre mille volte. E’ stata la mia prima esperienza lontana da casa, è stata la prima esperienza in cui ho dovuto vivere da sola e arrangiarmi in qualunque cosa. E’ stata la prima volta che ho vissuto con delle Suore (io atea più che mai) che mi hanno fatto ricredere nella mia fede. Ho imparato a conoscermi più a fondo, ho scoperto lati di me che nemmeno io pensavo di avere. Ho avuto a che fare con tante coinquiline che sono diventate parte della mia vita, mi sono divertita e mi sono sentita libera per la prima vera volta. Ma sicuramente era ancora troppo presto.

Cos’è successo? E’ successo che, come un fulmine a ciel sereno, è arrivato il Covid e come tante altre persone la pandemia mi ha costretta a tornare a casa. Quella che io ormai non sentivo più casa. Son dovuta tornare con le lacrime agli occhi che non mi hanno abbandonata per settimane. Sono crollata ancora più in basso, la mia vita a Mestre non la volevo più accettare. Dopo pochi mesi dal mio ritorno finii in ospedale…

Avevo scelto di non vivere più, non aveva più senso. In ospedale ci sono stata per due mesi e vi sembrerà strano ma ci sono ricordi di quel posto che porto nel mio cuore con un sorriso. A partire dagli infermieri che mi hanno tratta come una principessa, fino a “colleghi” di reparto con i quali ho condiviso gioie e lacrime. Era un po’ come se ci capissimo tutti, come se stessimo tutti attraversando per mano lo stesso sentiero tortuoso. Lo facevamo tutti insieme, chi per un motivo chi per un altro. Ci facevamo forza a vicenda, con alcuni ho riso a crepapelle, con altri ho pianto fino a terminare le lacrime.

Vi starete chiedendo come ne sono uscita … Sono sincera: solo ed esclusivamente perchè volevo liberarmi a tutti i costi di quel maledetto sondino gastrico che avevano deciso di infilarmi. Non potete capire, nessuno mai potrà farlo. Ti senti violentata, ti senti impotente e piccola. Tu non puoi opporti, devo solo accettarlo. E vi giuro che mai, per nessuna ragione al mondo vorrei tornare a sentire quella sensazione. Quella sensazione dentro al naso e nella gola, quel fastidio misto dolore ogni volta che deglutisci. L’allarme che suona ad ogni ora del giorno e della notte e che chiama i medici per ricordare loro di ricaricarlo, perchè è l’unica cosa che ti sta alimentando e tenendo in vita.

Allora com’è che ne sono uscita? Perchè ho capito che la vita non è quella. La vita non può essere guardarsi allo specchio e vedersi rovinata, con un tubo su per il naso, i capelli quasi a zero perchè persi, le ossa fuori e gli occhi spenti. Mi sono fatta più forte di prima, mi sono rialzata sulle mie gambe e mi sono promessa che non mi sarei più fatta così tanto male.

Certo lo feci anche per mamma e papà perchè non potevo più sopportare di vedere i miei genitori passare ogni giorno in ospedale e vedere la figlia ridotta in quelle condizioni. Ma lo feci soprattutto per me stessa, perchè di fronte a quello specchio la ragazza forte e determinata che si stava nascondendo doveva uscire a tutti i costi. Basta. Per troppo tempo era stata messa da parte. Ora era il momento di chiamarla. Era il suo turno, e quella partita l’avrebbe vinta.

E sì, posso dire di averla vinta.

Mi sono sempre sentita come la pallina da tennis sballottata da una parte all’altra, ma devo dire che questa volta, in quella partita, la protagonista sono stata io e la vittoria me la sono portata a casa.

Vi confesso che quando penso a Firenze penso subito all’ospedale, è strano ma è come se le due cose fossero collegate per me. Sono partita scappando da tutte le pressioni che sentivo e sono tornata più debole e fragile di prima. Ma molto probabilmente se non fossi partita non sarei mai crollata così tanto in basso e forse non sarei mai guarita. E’ quando tocchiamo davvero il fondo che poi ci troviamo di fronte alle due alternative: ritornare in superficie o annegare negli abissi. Tornando da Firenze ho dovuto fare i conti con questo e fortunatamente sono riemersa.

Sono convinta che la vita di tutti noi sia predestinata a qualcosa e che le nostre scelte siano dettate da segni dell’universo che vogliono dirci qualcosa. Ho imparato ad essere più istintiva, a seguire il cuore e fare ciò che mi sembra giusto per me in quel momento, senza pensare alle conseguenze. Le occasioni vanno colte e se una vocina dentro me vuole essere insistente e pesante io la ascolto. Per troppi anni l’ho lasciata parlare senza darle retta, ho capito che è la parte di me più saggia, quell’amica alleata che vuole farmi vivere la vita che ho sempre voluto, quella vita giusta per Silvia e non per gli altri.

Firenze è stata la prima volta in cui ho ascoltato quella voce, nonostante fossi ancora troppo fragile. Ma è come se fosse stata la prima volta ad aver fatto la conoscenza con la vera me, quella che poi è venuta fuori, quella che ha vinto la partita più importante di tutte.